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L’altro ieri mi sono svegliata con un pensiero, uno di quei pensieri che sembrano prolungamenti di un sogno, che arrivano da reconditi spazi onirici. Il pensiero era “non ho dato da mangiare ad Amleto, sono tanti giorni che non do da mangiare ad Amleto”. Come fosse una cosa che ho semplicemente dimenticato di fare, come la lavatrice o un prelievo al bancomat. Così, con una inconsapevolezza della realtà talmente banale da essere ridicola.

Nello spazio onirico probabilmente siamo tuttə inconsapevolə, e questa tendenza si espande in maniera esponenziale, anche se io sono una di quelle persone che alla mattina non ricordano mai che cosa hanno sognato. Peccato, mi piacerebbe ricordare quello spazio in cui siamo ancora insieme, in cui il mio non vedere la realtà me lo fa essere ancora vicino.
Nina invece sembra dimenticare che lui non c’è più quando siamo fuori di casa per un po’ di tempo. Quando usciamo per una passeggiata di una decina di minuti per fare pipì, torna e si rimette a sonnecchiare sul divano. Quando invece torniamo da un’escursione, da un viaggio ma anche da un paio d’ore a villa Borghese, lei rientra in casa scodinzolando e va a guardare in tutti i posti dove lui di solito dormiva aspettandoci. Mi guarda poi con un’aria interrogativa come dire “Ma dov’è?”.

Nella mia opera teatrale preferita, Enrico IV si autoesilia dalla vita e sceglie di restare per sempre in un presente di vent’anni prima. In una delle battute più struggenti, in cui parla della amata sorella morta da pochi mesi, dice “Non posso piangerla, perchè se voi ora siete qua, ed io così (mostra il sajo che ha indosso), vuol dire che ho ventisei anni…. Già…. E posso rimandare ad altro tempo il dolore”.
Oggi, nove anni fa, io e Amleto entravamo in casa insieme per la prima volta.